Cos’è l’intelligenza collettiva e perché se ne parla molto associandola al tema della tecnologia digitale? Accendere i riflettori sulle potenzialità della mente umana (e sulle capacità di agire a livello di comunità) ci aiuta a capire meglio gli attuali scenari che fanno sfondo alle nostre professioni. E a considerare la tecnologia non come un nemico, ma come strumento di accelerazione, da conoscere e governare.
Negli ultimi mesi, in redazione a Maire Tecnimont, abbiamo più volte trattato – all’interno del magazine EVOLVE e nell’ambito dei contenuti che arricchiscono i nuovi siti web del Gruppo – il tema della Digital Transformation, utile a spiegare meglio i cambiamenti legati alla produzione industriale, ma anche ad affrontare le sfide economiche, ambientali e sociali.
Per produrre contenuti, abbiamo tratto ispirazione dal lavoro di alcuni innovatori, filosofi ed esperti di “futuro” (ma anche di testimoni diretti), che hanno dedicato la vita a ricerche in questo campo e – con i libri e i saggi pubblicati – hanno creato un ponte tra legittimi timori e straordinarie opportunità legate all’economia della conoscenza.
Ecco per voi dunque una veloce carrellata ispiratrice per le letture natalizie sotto l’albero.
Geoff Mulgan, “Big Mind. L’intelligenza collettiva che può cambiare il mondo”
Secondo Geoff Mulgan – futurologo, teorico del “pensiero collettivo” e direttore esecutivo di Nesta, la più importante organizzazione britannica per la social innovation – la cooperazione tra persone (e tra macchine) è cruciale per governare il potere dell’intelligenza artificiale. Nel nuovo saggio, l’esperto di innovazione sociale spiega perché non bisogna temere il futuro o l’A.I. “C’è chi immagina un futuro dove uomini e macchine saranno in competizione per la supremazia” ha detto Mulgan. “Io credo invece che l’unica via sia una sinergia virtuosa, che esalti cervello umano e tecnologia”. Un cambiamento sistematico, quello della big mind, che investirà i luoghi dove si produce il sapere, il governo dei popoli e dei territori e naturalmente anche i rapporti di potere economico tra vecchie e nuove élite.
Stephen Hawking, “Le mie risposte alle grandi domande”
Scomparso il 14 marzo di quest’anno, lo scienziato più famoso del nostro tempo dedica ai teenager le ultime righe del suo libro: “Ricordatevi di guardare in alto, verso le stelle, e non i vostri piedi. Siate curiosi, liberate la vostra immaginazione. Plasmate il futuro”. Nell’elogio funebre, durante la cerimonia di sepoltura delle ceneri di Hawking, il collega e amico Kip Thorne ha ricordato che “Newton ci ha dato delle risposte, Hawking ci ha dato delle domande. E le sue domande continuano a generare nuove scoperte”. Eccone alcune: “Esiste un Dio? Com’è iniziato tutto? Nell’universo ci sono altre forme di vita intelligente? Possiamo predire il futuro? Cosa c’è dentro un buco nero? È possibile viaggiare nel tempo? Riusciremo a sopravvivere sulla Terra? Dovremmo colonizzare lo spazio? L’intelligenza artificiale surclasserà la nostra? Come possiamo plasmare il futuro?”.
Alec Ross, “Il nostro futuro”
Esperto di tecnologia, professore alla Columbia University e consigliere della Casa Bianca sul tema dell’innovazione, in questo saggio Ross ci spiega come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni, sostenendo “che è facile dimenticare quanto è cambiato il pianeta negli ultimi decenni, perché viviamo immersi nel presente”. Alec sostiene anche che la tecnologia offrirà evidenti benefici alle società: “Il modo in cui esse si adatteranno, giocherà un ruolo chiave nel determinare quanto saranno stabili e competitive. I maggiori benefici andranno a quelle società e aziende che non si limitano a ripiegare sul passato, ma che sono capaci di adattarsi e indirizzare i loro componenti verso settori in crescita. Se la terra era la materia prima dell’era agricola e il ferro quella dell’era industriale, la materia prima dell’era dell’informazione sono i dati. Oggi è fondamentale connettere queste informazioni e trarne fattori per orientare i piani industriali”.
Edward Wilson, “Le origini della creatività”
Unire le discipline umanistiche a quelle scientifiche: soltanto con la nascita di un nuovo Illuminismo potremo esplorare in maniera più approfondita la condizione dell’essere umano. Partendo dai due precedenti – il primo risalente all’età di Socrate e Platone, il secondo dal 1630 fino alla Rivoluzione Francese – oggi il biologo statunitense intravede un terzo illuminismo, con scienziati e umanisti che lavoreranno insieme per un salto di qualità. Nel suo libro Wilson ci spiega che nei millenni il cervello dei nostri antenati ha subìto varie trasformazioni ed è stato capace di quelle manifestazioni che oggi chiamiamo arte. È grazie al nostro cervello che noi esseri umani viaggiamo da sempre (con la fantasia) nel tempo e nello spazio, inventando scenari che molto spesso si verificano: la nostra capacità creativa dipenderebbe quindi da progressive modifiche della struttura e della funzione del cervello, sollecitato dai cambiamenti ambientali e dalla società che ci circonda.
Jared Diamond, “Armi, acciaio e malattie”
Saggista e biologo evolutivo, Diamond ipotizza un nuovo tipo di storia basato sulla scienza. E apre il libro con una domanda di non facile risposta: “Perché alcuni popoli sono più ricchi di altri? Perché europei e asiatici hanno dominato quasi tutto il pianeta?”. La tentazione di rispondere tirando in ballo gli uomini e le loro presunte attitudini è forte. Ma la spiegazione razzista va respinta perché è sbagliata e non regge a un esame scientifico. Le diversità culturali non sono innate: affonderebbero le loro radici in differenze geografiche, ecologiche e territoriali, sostanzialmente legate al caso. “Alcune società e popolazioni – scrive Diamond – sembrano essere irrimediabilmente conservatrici, ripiegate su se stesse e refrattarie al cambiamento. Ma il punto di partenza è che la necessità è la madre dell’invenzione: l’innovazione nasce quando esiste un bisogno comune fortemente sentito, a cui la tecnologia esistente non dà risposte o risponde in modo parziale. In Europa – a differenza della Cina, che ha raggiunto l’unità politica molto presto ed era perciò troppo poco divisa – la disunità politica ha favorito la competizione. Nel Vecchio Continente gli innovatori hanno così avuto maggiore possibilità di sviluppare le loro idee e consentire l’avanzamento della scienza, della tecnologia e del capitalismo”.
Ellen Pao, “La guerra di Ellen”
Una lotta per la parità e l'inclusione nella Silicon Valley. L'enorme impatto che “La guerra di Ellen” ha avuto in termini di riconoscimento, condivisione e discussione del problema è stato definito ‘Pao effect’. Il suo libro è il racconto di una donna che, giunta dopo brillanti studi nello sfavillante mondo della SV, ha scoperto che appartenere al genere femminile e a una minoranza etnica la escludeva da ogni dinamica professionale, dagli inviti alle cene di lavoro fino ai processi decisionali ai più alti livelli gerarchici. “Ci sono CEO – racconta Ellen – che giustificano mancate assunzioni di donne o persone non bianche sostenendo, semplicemente, che si tratta di personalità non adatte”. Quella di Ellen è una storia di sacrifici e duro lavoro, di sogni e di speranze che hanno rischiato di infrangersi contro un muro grigio fatto di discriminazione e omertà. È il racconto di una battaglia legale e politica spietata e senza esclusione di colpi, una storia d’ingiustizia e di coraggio. Un atto di accusa che denuncia la ferita ancora aperta della discriminazione sul posto di lavoro.