Simile a una rivoluzione industriale moderna, la transizione energetica sta ridefinendo il panorama lavorativo globale. Secondo il report "World Energy Employment 2023" dell'Agenzia Internazionale dell'Energia, globalmente il settore energetico occupa circa 67 milioni di persone, con il personale nel settore delle energie pulite (35 milioni) che ha ormai superato quello nei settori dei combustibili fossili (32 milioni) nel 2021. Secondo previsioni future citate in un altro studio IEA ("Net Zero by 2050"), la transizione verso le energie rinnovabili potrebbe generare fino a 14 milioni di nuovi posti di lavoro nel settore delle energie pulite, trasferire circa 5 milioni di lavoratori dal settore dei combustibili fossili e necessitare un aggiornamento delle competenze per altri 30 milioni di lavoratori.
Appurato, dunque, che questo cambiamento non solo porterà un aumento dell'occupazione e la nascita di nuovi ruoli professionali, ma richiederà anche un approccio innovativo alla formazione e all'istruzione per massimizzare queste nuove opportunità, quanto è diffusa la consapevolezza della necessità di acquisire queste nuove competenze? E di quali competenze stiamo parlando?
Per rispondere a queste domande, durante la recente COP28 a Dubai, Ilaria Catastini, General Manager della Fondazione MAIRE, e Nando Pagnoncelli, Presidente di IPSOS Italia, hanno presentato i risultati di un'indagine internazionale che ha esaminato le percezioni in 10 diverse geografie riguardo l'importanza e l'urgenza di sviluppare e rinnovare le competenze necessarie per affrontare la transizione energetica. «Le sfide climatiche – hanno spiegato gli autori – richiedono una risposta rapida e inclusiva, che abbracci l'educazione alla mitigazione e all'adattamento climatico, nonché lo sviluppo di soluzioni innovative per la riduzione delle emissioni di carbonio». Nel dibattito sulla transizione energetica, la ricerca ha evidenziato come l'investimento in formazione e la cooperazione industriale internazionale siano essenziali per trasformare le sfide climatiche in opportunità di sviluppo economico e professionale.
Per guidare la transizione energetica, un’elevata preparazione tecnologica non è sufficiente. Serve allenare nuove competenze che coniughino creatività e problem solving, pensiero critico e approccio multidisciplinare con elementi come la conoscenza dei temi legati alla sostenibilità, l’analisi dell’impatto ambientale e la conoscenza di materie prime alternative, dell’economia circolare e delle fonti di energia rinnovabili. Saranno, quindi, più umanisti gli ingegneri che prenderanno le redini di questa nuova trasformazione.
La transizione energetica non è solo una necessità ambientale, ma anche un'opportunità di crescita professionale e umana. Secondo uno studio recente commissionato dalla Fondazione MAIRE, il processo di decarbonizzazione dell'economia mondiale – oltre a creare nuovi posti di lavoro – richiederà anche competenze completamente nuove e avanzate. La ricerca mette in luce come l'ingegneria umanistica diventerà fondamentale nel plasmare il futuro sostenibile che tutti auspichiamo.
Un tema conosciuto dal 90%
Per la realizzazione del report, tra il 22 settembre e il 9 ottobre 2023, sono state condotte interviste a 1.700 individui distribuiti in dieci nazioni diverse: Italia, Regno Unito, Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Cina, India, Algeria, Stati Uniti e Cile. I partecipanti sono stati selezionati per garantire una rappresentazione equilibrata in termini di genere, età, regioni geografiche, livello di istruzione e condizione lavorativa. In aggiunta, sono stati intervistati 15 opinion leader nel campo della sostenibilità e della transizione energetica, provenienti da cinque paesi (Italia, Regno Unito, Emirati Arabi Uniti, India e Stati Uniti), rappresentando tre categorie professionali: accademici, esponenti istituzionali e dirigenti di aziende private.
Dai risultati dello studio emerge che più del 90% degli intervistati ha dichiarato di essere a conoscenza della transizione energetica. La familiarità con questo argomento è particolarmente alta nelle economie svilluppate come gli Stati Uniti e l'India, entrambi al 63%, seguiti da Italia e Regno Unito con il 60% e il 59% rispettivamente. In contrasto, la consapevolezza scende sotto il 50% in paesi come la Cina, il Cile e la Turchia. La maggioranza degli intervistati ritiene che la transizione energetica sia un aspetto importante e per due terzi di loro rappresenta una priorità, con particolare enfasi in Turchia e India, dove il 70% valuta questa transizione come cruciale, seguite da altre nazioni asiatiche, africane e latinoamericane.
Nel nostro Paese, solo il 37% del campione si dichiara consapevole dell’impatto positivo della transizione energetica sull’occupazione, mentre lo è il 55% dei sauditi, il 63% degli indiani, il 67% degli algerini e il 53% dei cileni. Inoltre, il 18% degli italiani intervistati ne conosce l’impatto positivo sull’inclusione delle donne a fronte del 46% dei sauditi, il 51% degli indiani, il 32% degli algerini e il 36% dei cileni. Ciononostante, anche in Italia emerge un bisogno di formazione specifica, anche se la percezione dell’importanza e dell’urgenza di questa è mediamente inferiore.
Nuovi posti di lavoro
Gli opinion leader ritengono che il Nord Europa, gli Stati Uniti e la Cina abbiano fatto i maggiori progressi nella transizione energetica. Tuttavia, in Italia, nel Regno Unito e persino negli Stati Uniti, molti considerano che i progressi del proprio paese siano medi o addirittura in ritardo rispetto ad altri. Al contrario, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, India e Cina vedono i propri sforzi come più avanzati rispetto alla media internazionale, tendendo a valutare i progressi compiuti in maniera eccessivamente positiva. Nei paesi come Cile, Algeria e Turchia, percepiti come più indietro nel processo, la necessità di una transizione energetica è avvertita maggiormente dai cittadini rispetto ai governi.
A eccezione degli italiani, che si mostrano più scettici, gli intervistati riconoscono generalmente che la transizione energetica porterà benefici in diversi settori, inclusi quelli economico, sanitario e ambientale. Per la maggior parte dei paesi, esclusa l'Italia, l'aspetto più rilevante è la creazione di nuovi posti di lavoro, con un interesse particolare in Algeria, Turchia, Arabia Saudita e India. Nonostante ciò, c'è una percezione diffusa che l'istruzione scolastica e accademica non stia evolvendo abbastanza rapidamente per soddisfare le richieste del mercato del lavoro.
Lo studio evidenzia che in Italia, Turchia, Cina e Algeria, più dell'85% degli intervistati ritiene necessario migliorare le proprie competenze relative alla transizione energetica, mentre in altri Paesi la percentuale, pur riducendosi, rimane alta, superando il 75%. I principali responsabili dell'educazione in questo ambito sono identificati nei governi centrali, indicati dal 61% degli intervistati, seguiti da enti pubblici come centri di ricerca e università, rispettivamente dal 57% e 48%. Anche il settore privato gioca un ruolo importante, considerato rilevante dal 40% degli intervistati. E la formazione? Quella universitaria è vista come la più cruciale, ma si riconosce anche l'importanza di trasmettere un rispetto per l'ambiente già dalla scuola primaria.
Le competenze necessarie
Quali sono le competenze richieste a questi futuri professionisti della transizione energetica? Variano da paese a paese, ma è chiaro che competenze tecniche e trasversali, hard skill e soft skill debbano convergere e siano cruciali. L'enfasi sulla creatività (nel Regno Unito, in Algeria, in Arabia Saudita, in India e negli Emirati Arabi Uniti), sulla capacità di risoluzione dei problemi (in Italia, Turchia, Arabia Saudita, Cina, Stati Uniti e Cile), sul pensiero critico (nel Regno Unito) e sulle capacità analitiche segnala la necessità di nuovi professionisti con una mentalità diversa. Saranno, quindi, multidisciplinari e flessibili, umanisti gli ingegneri che prenderanno le redini di questa nuova trasformazione. Se flessibilità e capacità di lavorare in team sono competenze apprezzate trasversalmente, in Italia si dà inoltre importanza alla conoscenza del quadro normativo e alla capacità di valutare l'impatto locale della transizione energetica.
Riguardo alle hard skills, si evidenziano l'importanza di valutare l'impatto ambientale e la profonda conoscenza delle materie prime e delle fonti energetiche rinnovabili. In India, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti, circa metà degli intervistati pone le conoscenze tecniche su un piano superiore rispetto alle competenze personali. Tuttavia, in generale, entrambi i tipi di competenze sono considerati fondamentali, interagendo in ciò che la Fondazione MAIRE definisce "ingegnere umanista": un professionista che integra considerazioni umane e benessere sociale nei processi decisionali e nello sviluppo di soluzioni sostenibili. La formazione di questi ingegneri umanisti è al centro delle iniziative educative e culturali della Fondazione MAIRE, che sostiene corsi specifici nelle scuole e nelle università a questo scopo.
Il ruolo dell'informazione e delle aziende
In termini di informazione, la televisione e i quotidiani nazionali sono le principali fonti considerate affidabili nei paesi asiatici, mentre in Italia, Regno Unito e Stati Uniti si dà più credito a riviste specializzate e pubblicazioni accademiche. I centri di ricerca e le fondazioni sono valorizzati per il loro potenziale di integrare l'educazione formale e raggiungere un pubblico più ampio attraverso un'offerta educativa diversificata. Ad esempio, il gruppo MAIRE collabora con oltre 24 università a livello globale e utilizza piattaforme di Open Innovation per stimolare la ricerca e lo sviluppo, promuovendo l'innovazione nella transizione energetica.
Tra gli intervistati prevale la convinzione che le aziende siano quelle che sostengono la maggior parte dei costi legati alla transizione energetica. Negli ultimi tre anni, si è notato un crescente impegno nel settore da parte delle aziende private piuttosto che da quello politico, in particolare in nazioni come Italia, Turchia, India e Cile. Vi è un consenso generale sul fatto che, per gestire efficacemente la transizione energetica, le aziende debbano adottare le energie rinnovabili, garantire una rendicontazione trasparente, sviluppare internamente le competenze necessarie e promuovere un cambiamento culturale anche all'esterno.
Lo studio evidenzia anche la necessità di incrementare la consapevolezza sulla transizione energetica attraverso la cooperazione a più livelli tra enti locali, governi centrali, aziende private e organizzazioni internazionali. Questo include la semplificazione delle procedure burocratiche, l'implementazione di normative chiare e la creazione di piattaforme digitali comuni. Gli intervistati ritengono che non sia necessario istituire nuove entità, ma piuttosto rafforzare quelle esistenti, come l'ONU, l'UNFCCC, l'Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili, l'Unione per il Mediterraneo e l'Unione Europea, quest'ultima ritenuta dagli opinion leader come la più efficace tra gli attori globali.
Un'opportunità di genere
Attualmente, le donne costituiscono solo il 16% della forza lavoro nel settore energetico. Dalle interviste emerge che la creazione di opportunità lavorative per le donne è considerata il beneficio meno rilevante, con variazioni notevoli nei livelli di interesse: è un tema particolarmente importante in India e Arabia Saudita, mentre riceve meno attenzione nel Regno Unito, in Cina e, soprattutto, in Italia. Nonostante ciò, l'emergere di nuove professioni nel settore energetico potrebbe aprire significative opportunità per le giovani donne, specialmente attraverso percorsi universitari mirati.
In questo contesto, la Fondazione MAIRE si dedica attivamente alla formazione, promuovendo l'accesso delle studentesse alle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). In Italia, la Fondazione ha lanciato un'iniziativa in collaborazione con ENEA, mirata a educare le studentesse delle scuole superiori sulle materie STEM e sui temi dell'efficienza e della transizione energetica, con oltre 2.000 ore di lezioni già impartite. Sempre secondo la Fondazione MAIRE, l'utilizzo della tecnologia è importante quanto lo sviluppo di nuove soluzioni ed è necessaria una risposta tecnica più ampia ai cambiamenti climatici, che si concentri sia sul modo in cui le persone utilizzano la tecnologia, i prodotti e le infrastrutture, sia sulla progettazione di tecnologie di nuova generazione, prodotti e servizi a basse emissioni di carbonio.
A conclusione dei lavori, Fabrizio Di Amato, Presidente del gruppo MAIRE e della Fondazione MAIRE, ha così commentato i risultati dello studio: «Per affrontare la transizione energetica e il passaggio al Net Zero dobbiamo abbracciare il concetto di 'ingegnere umanista' come nuovo agente di trasformazione. Queste persone sapranno navigare nella complessità e trovare soluzioni che includano l'innovazione tecnologica, l'attenzione alle esigenze economiche, ambientali, sociali e agli aspetti culturali. Il nostro Gruppo si impegna attivamente nella formazione e nel coinvolgimento delle nuove generazioni, che saranno l’effettivo motore del cambiamento. Inoltre, rivolgiamo una specifica attenzione alle potenzialità che l’innovazione nel campo della transizione energetica offre in termini di inclusione del talento femminile. Tutti questi aspetti sono prioritari per il nostro piano strategico, con l’obiettivo di generare un impatto positivo sia attraverso le nostre tecnologie sia attraverso l'attività della nostra fondazione. Le competenze che possiamo creare oggi faranno la vera differenza per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti per il 2050».