Quarantacinquenne senza smartphone, Yuval Noah Harari è uno dei più grandi intellettuali, filosofi e divulgatori contemporanei. A due anni dalla pandemia, lo storico israeliano ha più volte segnalato la mancanza di un piano globale e di una leadership trasversale necessaria ad affrontare i disagi economico-sociali causati dall’emergenza sanitaria: «Se non riusciamo a trovare una linea comune su un’emergenza epocale e mondiale come questa – ha spiegato lui stesso – quali obiettivi potremo mai raggiungere su temi ugualmente colossali e paradossalmente più complicati come l’ambiente o l’intelligenza artificiale?»
In questo numero di EVOLVE dedicato alla relazione fra visione del futuro, transizione energetica e innovazione tecnologica, siamo partiti dal pensiero filosofico dell’autore di “Homo Deus, breve storia del futuro”. Fondendo analisi di storia, filosofia, scienza e tecnologia, Harari ci racconta alcuni dei sogni e degli incubi che daranno forma al XXI secolo. «Attenzione perché il genere umano rischia di rendere se stesso superfluo – è il suo avvertimento – La domanda è: saremo in grado di proteggere questo fragile pianeta e l’umanità stessa dai nostri nuovi poteri divini?»
Secondo il professor Harari (che attualmente insegna World History e processi macro-storici all’Università Ebraica di Gerusalemme) agli inizi del XXI secolo il treno del progresso è di nuovo pronto – dopo decenni di guerre e occasioni perdute – a riprendere la sua corsa. Probabilmente sarà l’ultimo treno che partirà ancora dalla stazione chiamata Homo Sapiens. Per ottenere un posto occorre comprendere la tecnologia del XXI secolo, e in particolare il potere delle biotecnologie e degli algoritmi dei computer. Questo potere è assai più grande di quello dispiegato dal vapore e dal telegrafo, non sarà semplicemente usato per la produzione alimentare, tessile, dei trasporti e degli armamenti. «I principali prodotti di questo secolo saranno i corpi, i cervelli e le menti: le differenze tra chi saprà come ingegnerizzare corpi e cervelli e chi no saranno più grandi delle differenze tra Sapiens e Neanderthal».
In un millennio iniziato all’insegna dell’innovazione digitale, Harari stesso si domanda in che misura questa pandemia possa rappresentare una battuta d’arresto all’antica ambizione di trasformare “Homo sapiens” in “Homo Deus”. «Cosa accadrà quando robotica, intelligenza artificiale e ingegneria genetica saranno messe al servizio della ricerca dell’immortalità e della felicità eterna?». Significative le questioni chiave che Harari lascia in eredità al lettore nelle ultime pagine del suo libro: «Gli organismi sono davvero soltanto algoritmi e la vita è davvero soltanto elaborazione di dati, come sostengono i fautori di questa nuova religione? È più importante l’intelligenza o la consapevolezza?». E soprattutto: «Che cosa accadrà alla società, alla politica e alla vita quotidiana quando algoritmi non coscienti ma dotati di grande intelligenza ci conosceranno più a fondo di quanto conosciamo noi stessi?».
«PER MILIONI DI ANNI SIAMO STATI SCIMPANZÉ EVOLUTI: IN FUTURO POTREMMO DIVENTARE FORMICHE DI TAGLIA GIGANTE». PER APPROFONDIRE LA RELAZIONE CHE INTERCORRE FRA VISIONE, TRANSIZIONE (ENERGETICA) E INNOVAZIONE (TECNOLOGICA), SIAMO PARTITI DAL PENSIERO FILOSOFICO DELL’AUTORE DI “HOMO DEUS, BREVE STORIA DEL FUTURO”.
Yuval Noah HarariStoricoInsieme alle riflessioni dello storico israeliano, nelle pagine che seguono troverete disseminate alcune pillole tratte dal lavoro congiunto di Kai-Fu Lee, ex presidente di Google China e autore di bestseller sull’intelligenza artificiale, e del celebre romanziere Chen Qiufan, scrittore di fantascienza molto popolare per la platea cinese. I due autori hanno pubblicato a quattro mani “Artificial Intelligence 2041: Ten Visions for Our Future”, una raccolta di dieci avvincenti racconti (ambientati a San Francisco, Tokyo, Mumbai, Seoul, Monaco) che aiutano il lettore a guardare nel futuro, immaginando un mondo – quello del 2041 – plasmato dall’intelligenza artificiale.
A miscelare il pensiero di intellettuali di caratura internazionale, ci è sembrato interessante aggiungere alcuni estratti tratti dai lavori della sociologa italiana Daniela Bandera, amministratrice delegata di Nomesis e già presidente nazionale di EWMD Italia (European Women’s Management Development). Bandera è autrice del saggio “L’impresa coevolutiva, le quattro sfide del management”, teoria che combina suggestioni provenienti dalle diverse scuole della sociologia organizzativa, così come da altre scienze e discipline. Sfruttando il pensiero laterale, il testo offre riflessioni che delineano in modo originale la relazione tra le organizzazioni e l’ambiente esterno. L’approccio coevolutivo lancia al management quattro grandi sfide: il cambiamento continuo; un nuovo rapporto con il mercato; la creazione di un’intelligenza collettiva; la leadership. «L’acronimo Smart – spiega l’autrice – racchiude le parole chiave dell’organizzazione coevolutiva: socio-sensibile, meritocratica, abilitante, riflessiva e trasformativa».
Managers can no longer live off the work of the past