La scoperta di Mendeleev ha rappresentato una svolta epocale per lo studio della chimica e per la scienza. Una scoperta che è il risultato di una visione – forse nata in sogno – che rende semplice la complessità.
Se oggi possiamo parlare, in modo schematico e preciso, di chimica dei materiali e di green chemistry, gran parte del merito lo dobbiamo alla visione di un professore di San Pietroburgo. Un professore “visionario”. Ma chi è un visionario? Perché spesso questa parola viene accostata a nomi di personaggi che hanno rivoluzionato il sapere tradizionale del loro campo di attività? Sono tanti gli artisti, imprenditori, filosofi, scienziati definiti dei visionari. Iniziamo col dire che la parola visione deriva direttamente dalla parola latina “video”, che significa vedere. Ma tutti vediamo la realtà. Allora bisogna indagare oltre e capire che cosa vede un visionario. La sua capacità è nello scorgere qualcosa che a nessun altro appare evidente perché è in grado di intravedere oltre e di averne una percezione nuova, che consente di esaminare le cose in modo completamente diverso: una meta-visione aumentata che gli fa cogliere nessi e legami imprevedibili. Visionario è dunque colui che rende semplice la complessità, colui che con la sua immaginazione riesce a ordinarla e ne prevede esiti inattesi. In altre parole è chi non ha paura di porre domande molto complesse alle quali riesce a trovare risposte razionali e logiche grazie alla sua visione.
Visionari d’altri tempi
È tra le domande più complesse alle quali i più antichi visionari hanno tentato di rispondere: come ridurre la molteplicità del mondo naturale ad un numero finito di elementi fondamentali? Si torna indietro fino al V secolo a.C. quando il filosofo Empedocle individua quattro elementi da cui trae origine ogni sostanza: fuoco, terra, aria e acqua; poi nell’opera intitolata Timeo, Platone associa ad ognuno di essi uno dei solidi detti “platonici”: il tetraedo al fuoco, il cubo alla terra, l’ottaedro all’aria, l’icosaedro all’acqua. Queste forme geometriche rappresentano l’emblema della bellezza e perfezione, dalla cui combinazione si formano tutti gli oggetti del mondo naturale. Ad Aristotele tutto questo non basta: è lui ad aggiungere un quinto elemento che chiama etere e che costituisce la materia delle sfere celesti.
La svolta creativa di Mendeleev
Nel tempo e nei secoli si sono susseguiti diversi tentativi di dominare l’ordine della materia, ma bisogna aspettare una gelida mattina del 17 febbraio 1869 per la scoperta che cambierà per sempre la storia della chimica e dei suoi elementi. Ad averla è il professor Dmitrij Ivanovic Mendeleev, che insegna all’Università di San Pietroburgo. Fuori c’è una bufera di neve, il docente quel giorno non ha lezioni, dovrebbe andare a visitare dei caseifici per studiare come migliorare i processi di fermentazione, ma il maltempo lo scoraggia. Decide allora di restare nel suo studio e di tornare a riflettere su un suo vecchio progetto, quello di cercare una sistemazione definitiva degli elementi noti in base al loro peso e alla loro valenza. Inizia a tentare con varie combinazioni, scritte velocemente sul retro della busta di una lettera: questo accade mentre prende un tè che lascerà il suo alone sul documento (ancora oggi conservato presso l’Università di San Pietroburgo). Ma quello spazio non basta e inizia a fare altri tentativi su una miriade di fogli, giunti anche questi fino a noi. Si narra che Mendeleev fosse un appassionato di solitari con le carte: ecco venirgli l’idea di scrivere su ogni foglio, come se fosse proprio la carta di un mazzo, il nome, il peso atomico e la valenza di un singolo elemento. Crea così 63 carte, ciascuna con le proprietà di ogni elemento. È sfinito e va a dormire. La leggenda narra che il suo amico Aleksandrovich Inostrantsev abbia rivelato quello che Mendeleev gli confidò essere accaduto durante il sonno: lo scienziato sogna tutte le sue tessere che vorticano velocemente. Poi si fermano e arriva la soluzione.
Mendeleev si sveglia di soprassalto, corre al tavolo ed esegue quello che è stato ribattezzato un “solitario chimico”. Dispone le sue carte in questo modo: lungo le righe ci sono i gruppi che contengono elementi con proprietà simili, lungo le colonne i “periodi” nei quali gli elementi sono ordinati per peso atomico crescente. Nasce la tavola degli elementi, basata sulla scoperta della legge della periodicità degli elementi. Ma la grande intuizione e visione di Mendeleev
va oltre: capisce che quello schema deve prevedere delle “caselle vuote” dove in futuro saranno inseriti gli elementi che ancora non si conoscono. Mendeleev con la sua tavola prevede le scoperte future, inventando uno strumento teorico che non solo ribalta le conoscenze dell’epoca – catalogando in modo efficace e funzionale gli elementi fino allora conosciuti – ma consente soprattutto di fare delle previsioni esatte.
BY STARTING WITH THE VALORIZATION OF AN HISTORICAL ARCHIVE THAT LOOKS TOWARD THE FUTURE, WE BELIEVE IN A VISION OF SUSTAINABILITY THAT IS AHEAD OF ITS TIME.
Il ruolo dell’immaginazione nella scoperta scientifica
Mendeleev è stato definito da John D. Bernal, storico della scienza, “il Copernico della chimica”. La sua scoperta evidenzia il ruolo dell’immaginazione nel percorso scientifico e l’importanza della creatività nella chimica: la sua tavola periodica rappresenta l’icona fondamentale del tentativo di ridurre la molteplicità in un numero finito, è una legge universale coerente che consente di ordinare e prevedere anche quello che verrà scoperto in futuro. Uno schema che diventa una guida, il nuovo alfabeto della chimica con cui coniare nuove parole: infatti nei decenni successivi verranno catalogati il Gallio, che Mendeleev aveva già previsto chiamandolo eka-alluminio, e condotti esperimenti simili su elementi degli stessi gruppi e periodi, che permetteranno di ottenere una mappa più completa del comportamento della materia. Di fatto Mendeleev ha dimostrato che l’intuizione, l’eureka, non fa alcuna distinzione fra scienza o arte.
La visione può essere ovunque.
The capability of inventing the future