In che modo la trasformazione digitale contribuisce alla transizione ecologica? Ecco come Maire Tecnimont progetta e realizza impianti industriali più efficienti e resilienti decarbonizzando l’intera catena del valore.
Come immaginiamo gli impianti del futuro? Saranno strutture industriali nativamente digitali, più adattabili e sostenibili in termini di total cost of ownership e di impatto ambientale. Impianti quindi non solo più efficienti, ma anche molto più redditizi e con una minore impronta carbonica.
Gli scenari internazionali nei quali si muovono i principali EPC Contractor attraversano una fase di grande trasformazione, specialmente per il cambio di passo richiesto dalla “transizione ecologica” combinato con la disponibilità tecnologica offerta dalla “trasformazione digitale”. La crescente complessità degli impianti, le modalità di esecuzione dei progetti EPC, le esigenze contrattuali sempre più sfidanti, costringono le aziende di tutto il mondo ad adeguarsi a nuove condizioni di mercato e ad alzare il livello di competitività attraverso strategie mirate anche basate sulla leva digitale.
Per parlare di impianti industriali a prova di futuro nell’era della digitalizzazione e della decarbonizzazione e per capire come Maire Tecnimont, nell’arena della transizione energetica, abbia “abbracciato” il cambiamento in corso, facendo leva su una lunga esperienza di appaltatore EPC in progetti altamente complessi, gli interlocutori adatti nell’ambito del gruppo Maire Tecnimont sono Max Panaro (Vice President Group Organization, ICT & System Quality), Ezio Pasqualon (Responsabile dei servizi di Digital Transformation di Gruppo), Guido Tornatore (Responsabile del portfolio digitale per efficientamento dei processi EPC di Gruppo) e Michele Mariella (Chief Information Officer di Gruppo). Con loro abbiamo discusso di come la transizione energetica stia spingendo le aziende a ripensare i propri modelli di business, in particolare nel settore della trasformazione degli idrocarburi e della chimica verde.
«Sappiamo tutti che il mondo punta alla neutralità carbonica entro la metà del secolo – spiega Panaro – per questo i nuovi impianti industriali, che avranno una durata di 20-30 anni, devono essere progettati minimizzandone l’impronta carbonica lungo l’intero ciclo vita (ovvero dal design dell’impianto fino al decommissioning dello stesso). Una priorità assoluta per i proprietari di impianti è adattarsi a questo nuovo contesto imprenditoriale, minimizzando il “total cost of ownership” per i nuovi comparti industriali anche con un investimento lungimirante nella tecnologia digitale. La digitalizzazione è di fatto l’unica leva per i proprietari degli impianti per garantire la flessibilità e l’adattabilità, e far fronte così agli obiettivi di transizione energetica con un approccio industrializzabile. L’adeguato uso della leva digitale consente di rendere perseguibili gli obiettivi ambiziosi posti dal mercato, abilitando il taglio dei costi operativi di impianto (OPEX) di circa il 30% entro il 2030 e riducendone soprattutto i consumi energetici».
Sebbene il mercato abbia grandi aspettative dalla tecnologia digitale, una buona parte delle iniziative digitali non riesce a raggiungere i propri obiettivi. Nell’interrogarsi sulle soluzioni, il pioneering team di Digital Transformation del Gruppo ha lavorato a lungo per identificare i fattori chiave di successo verso la digitalizzazione. «Riteniamo che la tecnologia debba adattarsi al modello di business del proprietario dell’impianto e non viceversa» spiega Pasqualon. «Come passo importante verso una esecuzione dei progetti più efficace, in Maire Tecnimont abbiamo utilizzato le tecnologie digitali per trasformare e semplificare i processi EPC interni: questo consente ai team di project management il pieno controllo dei dati che coinvolgono lo stato di tutte le attività EPC» spiega Tornatore. «L’azienda – spiega Mariella – sta eliminando le inefficienze nel suo flusso di lavoro attraverso un programma di digitalizzazione completo che rende i dati disponibili simultaneamente in tutta la catena delle parti interessate, riducendo i sovraccarichi dei costi e riducendo drasticamente i tempi di consegna».
L’obiettivo è diventare competitivi creando valore sia durante la fase EPC che nella fase di esercizio degli impianti. Pertanto con le soluzioni e i servizi digitali della piattaforma NextPlant, Maire Tecnimont garantisce la realizzazione di impianti nativamente digitali, dalla fase di progettazione alla fase di esercizio, manutenzione compresa. Aggiunge Panaro: «Questa digitalizzazione interna dei processi di lavoro è l’abilitante di un portafoglio digitale chiamato appunto “NextPlant”. Il concept mira a progettare e realizzare impianti industriali più efficienti, resilienti e redditizi e molto meno energivori». «Poiché gli obiettivi di decarbonizzazione e riduzione della spesa operativa devono essere considerati in sinergia – spiega Pasqualon – NextPlant è stato ideato per facilitare il raggiungimento delle esigenze della transizione energetica, decarbonizzando processi e operazioni lungo l’intera catena del valore».
LA DIGITALIZZAZIONE È DI FATTO L’UNICA LEVA PER I PROPRIETARI DEGLI IMPIANTI PER GARANTIRE LA FLESSIBILITÀ E L’ADATTABILITÀ, E FAR FRONTE COSÌ AGLI OBIETTIVI DI TRANSIZIONE ENERGETICA CON UN APPROCCIO INDUSTRIALIZZABILE.
Intelligenza Artificiale, 5G e Blockchain
Quando parliamo di tecnologie chiave per generare valore negli impianti industriali, una delle parole d’ordine del futuro (ma anche del presente) è senz’altro “intelligenza artificiale”. Quest’ultima non è soltanto un potente driver per la riduzione dei costi di manutenzione, ma è uno strumento che arricchendo i modelli di processo degli impianti basati sulle equazioni termodinamiche e cinetiche convenzionali, potrebbe consentire in prospettiva di ridurre i consumi di energia del 5-10% superando le approssimazioni della modellazione di processo ad oggi esistenti basandosi su first principle models. «Oggi l’intelligenza artificiale e l’enorme disponibilità di dati – spiega Pasqualon – rendono possibile la creazione di un “gemello digitale” dell’impianto, che permette di ottimizzare i consumi di energia e le varie fasi del processo chimico in tempo reale. Il contrattista del futuro diventa una sorta di “orchestratore” della catena del valore, un tecnologo indipendente in grado di “ibridare” mondi diversi».
Grazie a impianti futuri wireless e iperconnessi, sempre più basati sulla tecnologia 5G, gli appaltatori saranno in grado di ridurre l’uso di cavi, passerelle portacavi e rack di supporto, oltre a diminuire potenzialmente il footprint dell’impianto. Tutto questo consentirà inoltre di far convivere operativamente generazioni diverse di operatori: pensiamo all’ingegnere di processo che lavora in sinergia con il data scientist, o alla grande corporate che deve sviluppare tecnologie insieme alle start up facendo leva sull’approccio di open innovation.
«Utilizzando la tecnologia Internet of Things (IoT) e l’applicazione della realtà virtuale – dice Panaro – aumenteremo la produttività degli operatori sul campo, riducendo il rischio di errori. Pensando a NextChem, i futuri impianti di chimica verde orientati verso obiettivi di transizione energetica saranno più piccoli, più semplici da utilizzare e più ampiamente “distribuiti” tramite una rete collaborativa». «Qui subentra il tema della sicurezza informatica – precisa Mariella – come criterio di progettazione e non come un problema da affrontare dopo un attacco informatico, quando diventa costoso e difficile da risolvere. L’unico modo per essere efficaci è affrontare la cybersecurity con un approccio olistico: adottando la cosiddetta “cybersecurity by design” che coinvolge l’intera catena di fornitura complessiva».
La discontinuità richiesta dalla transizione energetica passa anche attraverso l’adozione di tecnologie digitali oggi ancora poco mature come la Blockchain. Nella visione Maire Tecnimont, spiega Pasqualon, la Blockchain – che consente di gestire le informazioni critiche, garantendo la loro trasparenza, integrità e inalterabilità – può essere utilizzata per certificare l’impronta carbonica della materia prima utilizzata sia nei processi della chimica verde che nella trasformazione degli idrocarburi convenzionali. Passaggio, questo, che non solo garantisce l’accesso ad eventuali green premia, ma dimostra anche il contributo alla decarbonizzazione. La stessa tecnologia può essere usata per certificare l’impronta ambientale del prodotto trasformato, dimostrandone la sostenibilità e ottenendo così ulteriori incentivi.
Un approccio Open Innovation
La trasformazione digitale gioca quindi un ruolo importante in tutte le tematiche riguardanti la sostenibilità. Da un lato smaterializza la concezione fisica del luogo di lavoro a favore del lavoro a distanza, dall’altro rende le informazioni e i dati pienamente trasparenti
e accessibili, eliminando gap di ruolo, generazionali e di genere. Come immaginare allora un futuro “digitalmente sostenibile”? In che modo le tecnologie dovranno svilupparsi per contribuire alla creazione di un mondo migliore, considerando il loro ruolo sull’ambiente, sull’economia e sulla società? «È fondamentale – dice Pasqualon – che le trasformazioni vengano sviluppate considerando la sostenibilità stessa come un “obiettivo intermedio”, non come un fine di per sé. Per far sì che il meccanismo virtuoso si inneschi, è necessario però uno sforzo corale da parte di imprenditori, aziende e attori della società civile. Con l’obiettivo di comprendere e spiegare i molteplici effetti dei sistemi digitali, anticipando i cambiamenti strutturali di vasta portata in ottica sostenibile».
È utile allora – come ha fatto Maire Tecnimont – adottare un approccio di “innovazione aperta”, abbracciando la cooperazione esterna e rifiutando la mentalità “a silos” delle organizzazioni non adattive. «La nostra trasformazione digitale – spiega Panaro – si intreccia con le strategie di sostenibilità. Tre quarti delle nostre soluzioni digitali supportano la trasparenza e l’inclusione. Il 70% di queste soluzioni supporta le buone pratiche HSE e la riduzione della CO2. Il 25% sostiene il trasferimento di conoscenze e competenze nei paesi in cui operiamo. La nuova visione sarà sempre più fondata sulla sostenibilità come leva competitiva e fattore abilitante, in grado di favorire occasioni di business e di sviluppo innovativo». Il business del futuro? «Si farà – conclude Pasqualon – coniugando innovazione tecnologica, sostenibilità, responsabilità sociale, inclusione e chimica verde attraverso l’utilizzo della leva digitale come abilitatore al cambiamento».
NEL 2021 CARACOL E NEXTCHEM HANNO REALIZZATO “BELUGA”, IL PRIMO PROTOTIPO AL MONDO DI BARCA A VELA STAMPATA IN 3D IN MONOSCOCCA.
È un mercato in forte crescita, che si stima supererà i 27 miliardi di dollari nel 2023. Il punto di svolta? Si avrà quando diventerà una tecnologia su grande scala, sostituendo le tecniche tradizionali e generando nuovi business model. Quella dell’additive manufacturing – tecnologia che permette la realizzazione di oggetti tridimensionali attraverso speciali stampanti a getto di materia – è una vera rivoluzione per innumerevoli settori industriali, che possono così realizzare prototipi con una riduzione di costi impensabile fino a pochi anni fa. Non solo l’additive manufacturing diventerà di massa nel mondo manifatturiero (andando ben oltre le attività di prototipazione e di creazione di singoli pezzi): questa tecnologia, che un tempo si credeva adatta solo per le grandi aziende, sempre più spesso oggi viene considerata anche dalle piccole e medie imprese.
In Maire Tecnimont, per identificare le opportunità chiave e le aree strategiche sulle quali sviluppare nuove tecnologie di produzione 3D, è partito qualche mese fa un “hackaton interfunzionale” composto dai team di NextChem, Accenture e Caracol. Il progetto – che vede lavorare fianco a fianco esperti informatici, ingegneri e site manager – ha come obiettivo correlato quello di generare conoscenza all’interno di Maire Tecnimont sui temi dell’additive manufacturing, coinvolgendo diversi stakeholder e stimolando un processo creativo utile a diffondere la tecnologia all’interno dei processi del Gruppo.
Con materiale riciclato MyReplast, nel 2021 Caracol e NextChem hanno realizzato “Beluga”, il primo prototipo al mondo di barca a vela stampata in 3D in monoscocca. Un esempio di cooperazione fra additive manufacturing, riciclo e upcycling della plastica per rivoluzionare i tradizionali processi produttivi di un settore industriale – quello velistico – che ancora richiede l’uso di stampi, produce scarti e utilizza materiali come la vetroresina non semplice da riciclare. Attraverso l’azienda MyReplast sono stati utilizzati prodotti di scarto trasformandoli in un prodotto tecnologicamente di qualità e utilizzabile nel mondo della vela. L’attività tecnologica del Gruppo permette di produrre un polimero di plastica che, tramite un processo di upcycling, da rifiuto diventa polimero riciclato.
E se al progetto Beluga sono legati diversi temi – dall’innovazione in ambito manifatturiero all’economia circolare, dal recupero al riciclo della plastica – Maire Tecnimont procede in parallelo a utilizzare stampanti 3D per realizzare pezzi di ricambio (è il caso dei gancetti di fissaggio dei visori per la realtà virtuale, con costi di quaranta volte inferiori all’originale) e altri raccordi tecnico-strutturali necessari a garantire la continuità aziendale. «Tempo fa – spiega Mariella – quando un componente su un impianto subiva ritardi di consegna, si rischiavano sensibili ritardi nel processo di costruzione. Oggi invece possiamo stampare in 3D il simulacro di una valvola o altri pezzi di ricambio, laddove le condizioni operative dei fluidi utilizzate lo consentano, così da riempire il “buco temporale” e non bloccare l’intero processo di costruzione e messa in servizio dell’impianto».
La plastica e i processi di circular economy che permettono di dare nuova vita ai materiali di scarto evidenziano il loro potenziale sia per applicazioni di design che per il mondo industriale. Il processo MyReplast dimostra come si possano utilizzare con successo materiali riciclati per produrre componenti avanzati dagli elevati requisiti di performance.
The “revolutionary” table